Niccolò Stenone

E’ un protestante luterano che diventa Vescovo e, qui, a Livorno, inizia il cammino di conversione al cattolicesimo. Era nato in Danimarca, a Copenaghen, il primo di gennaio, secondo il calendario giuliano (il giorno 11 gennaio, secondo l’attuale calendario gregoriano) dell’anno 1638.

Non ebbe la vocazione «ecclesiastica» di pastore luterano, come suo padre Peter e molti del suo casato, ma praticava il luteranesimo con fede viva, con entusiasmo religioso e correttezza morale. Ebbe invece marcata vocazione scientifica. In un secolo geniale e ricchissimo per la filosofia, la scienza, l’arte, la religione…, partecipò alla più bella avventura del pensiero del suo secolo scoprendo alcuni segreti della natura e additando nuove mete alla ricerca umana. Nell’università di Copenaghen studiò lingue, matematica, anatomia e medicina, con grande profitto. Viaggiò molto, destando nelle maggiori università d’Europa ammirazione e riscuotendo stima. In una specie di diario, intitolato «Chaos», sul cui primo foglio scrisse «In nomine Jesu», si legge: «Peccano contro la grandezza di Dio coloro che non vogliono studiare direttamente le opere della natura… in tal modo si privano della gioiosa osservazione delle mirabili opere di Dio». Aveva 21 anni. A lui, tra le altre, si deve la scoperta del dotto salivare (Dotto di Stenone) e l’affermazione comprobata che il cuore è un muscolo. A Copenaghen riceverà il titolo di «Anatomicus regius». Per l’opera «De solido» ottiene il titolo di «Fondatore della geologia», scienza che studia l’evoluzione della crosta terrestre.

La Toscana è oggetto delle sue esperienze e rileva che tutta questa regione immersa nel mare, in successive ed alterne vicende, diventa la terra che noi oggi abitiamo. Studia i resti di animali e di piante (fossili) e dà inizio alla «paleontologia» ed anche alla «cristallografia geometrica». Fu suo convincimento che «belle sono le cose che si vedono, più belle quelle che si conoscono, ma più belle assai quelle che non si possono conoscere». Desideroso di visitare l’Italia, dalla Francia approdò al porto di Livorno nel febbraio 1666. Un avvenimento lo sconvolse: <> (R.Angeli – Niels Stensen). Il 2 novembre dell’anno seguente passò alla fede cattolica e si dedicò con impegno allo studio della Teologia, della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa, anche per rispondere a chi lo accusava di tradimento verso la religione in cui era nato. Otto anni dopo (1675), a Pasqua, ricevette l’ordinazione sacerdotale nel duomo di Firenze, dove iniziò il suo ministero come Curato. Non dimenticò mai Livorno, dove spesso tornava per attendere, nella chiesa di S. Sebastiano, alle confessioni ed alla predicazione a favore degli stranieri che si fermavano in questa nostra città di mare.

Il Signore però lo chiamava ad un servizio più alto e più impegnativo e fu consacrato Vescovo (1677): allora pellegrinò come pastore di anime e autentico missionario nei paesi del Nord Europa. Nominato Vicario Apostolico dell’intera Germania nord-occidentale e della Danimarca – Norvegia, con sede ad Hannover, si distinse per grande carità e gentilezza verso tutti ed insieme per la fermezza nella difesa della verità cattolica. Lo stesso filosofo Leibniz lo stimò per la sua «grande pietà e dottrina» nonostante le personali divergenze circa la riunione delle Chiese, divise da guerre di religione. A Munster, dove fu inviato come Vescovo «suffraganeo», molto si adoprò e soffrì per il basso livello religioso della popolazione, la miseria sociale, il carrierismo ecclesiastico e le negligenze del clero per il quale scrisse il libro «Doveri pastorali». Fu il Vescovo della carità, della pazienza e del dialogo, ma anche della fermezza come attesta la sua fuga dalla città per opporsi all’elezione simoniaca del nuovo vescovo residenziale. Si trasferì ad Amburgo per riassumere gli impegni di Vicario Apostolico; ma, invitato dal duca di Schweverin, accettò l’umile incarico di costituire in quel paese una comunità cattolica prendendo cura dei pochi cattolici ivi residenti. Qui visse come semplice prete, tutto dedito al bene altrui, dimentico di sè, ricco d’amore e nella più grande sofferenza che univa ai dolori di Cristo crocifisso.

Stroncato da una malattia maligna rendeva l’anima a Dio pregando «Gesù, sii il mio Gesù». Era il 25 novembre (5 dicembre del calendario gregoriano) del 1628. Deposto con le vesti pontificali nella cappella del palazzo reale, fu sepolto nella cattedrale luterana della città. Il Granduca Cosimo III di Toscana, suo grande amico e benefattore, volle dargli «sepoltura più condegna» e non avendolo potuto avere come Proposto della Collegiata di Livorno, ne volle almeno la salma nei suoi Stati. Il suo corpo, imbarcato ad Amburgo, approdò al porto della sua indimenticabile Livorno e, trasferito a Firenze, riposa nella cripta della basilia di S. Lorenzo.

Il Papa Giovanni Paolo II lo ha iscritto tra i «beati» il 23 ottobre 1988. La liturgia ne celebra la memoria annuale il 5 dicembre.